Matteo 28,11-15 inganno dei capi giudei

Inganni e calunnie dei capi giudei
(Mt 28,11-15) Mentre esse erano per via, alcuni della guardia giunsero in città e annunziarono ai sommi sacerdoti quanto era accaduto. Questi si riunirono allora con gli anziani e deliberarono di dare una buona somma di denaro ai soldati dicendo: "Dichiarate: i suoi discepoli sono venuti di notte e l'hanno rubato, mentre noi dormivamo. E se mai la cosa verrà all'orecchio del governatore noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni noia". Quelli, preso il denaro, fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questa diceria si è divulgata fra i Giudei fino ad oggi. (CCC n. 644) Anche messi davanti alla realtà di Gesù risuscitato, i discepoli dubitano ancora (Lc 24,38), tanto la cosa appare loro impossibile: credono di vedere un fantasma (Lc 24,39). “Per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti” (Lc 24,41). Tommaso conobbe la medesima prova del dubbio (Gv 20,24-27) e, quando vi fu l'ultima apparizione in Galilea riferita da Matteo, “alcuni [...] dubitavano” (Mt 28,17). Per questo l'ipotesi secondo cui la Risurrezione sarebbe stata un “prodotto” della fede (o della credulità) degli Apostoli, non ha fondamento. Al contrario, la loro fede nella Risurrezione è nata - sotto l'azione della grazia divina - dall'esperienza diretta della realtà di Gesù Risorto. (CCC n. 643) Davanti a queste testimonianze è impossibile interpretare la Risurrezione di Cristo al di fuori dell'ordine fisico e non riconoscerla come un avvenimento storico. Risulta dai fatti che la fede dei discepoli è stata sottoposta alla prova radicale della passione e della morte in croce del loro Maestro da lui stesso preannunziata (Lc 22,31-32). Lo sbigottimento provocato dalla passione fu così grande che i discepoli (almeno alcuni di loro) non credettero subito alla notizia della Risurrezione. Lungi dal presentarci una comunità presa da una esaltazione mistica, i Vangeli ci presentano i discepoli smarriti ("tristi”: Lc 24,17) e spaventati (Gv 20,19), perché non hanno creduto alle pie donne che tornavano dal sepolcro e “quelle parole parvero loro come un vaneggiamento” (Lc 24,11; Mc 16,11; Mc 16,13). Quando Gesù si manifesta agli Undici la sera di Pasqua, li rimprovera “per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato” (Mc 16,14).

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