At 18, 5-6 Paolo si dedica tutto a predicare

(At 18, 5-6) Paolo si dedica tutto a predicare
[5] Quando giunsero dalla Macedonia Sila e Timòteo, Paolo si dedicò tutto alla predicazione, affermando davanti ai Giudei che Gesù era il Cristo. [6] Ma poiché essi gli si opponevano e bestemmiavano, scuotendosi le vesti, disse: "Il vostro sangue ricada sul vostro capo: io sono innocente; da ora in poi io andrò dai pagani". (CCC 893) Il vescovo “è il dispensatore della grazia del supremo sacerdozio”, [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 26] specialmente nell'Eucaristia che egli stesso offre o di cui assicura l'offerta mediante i presbiteri, suoi cooperatori. L'Eucaristia, infatti, è il centro della vita della Chiesa particolare. Il vescovo e i presbiteri santificano la Chiesa con la loro preghiera e il loro lavoro, con il ministero della Parola e dei sacramenti. La santificano con il loro esempio, “non spadroneggiando sulle persone” loro “affidate”, ma facendosi “modelli del gregge” (1Pt 5,3), in modo che “possano, insieme col gregge loro affidato, giungere alla vita eterna” [Lumen gentium, 26]. (CCC 597) Tenendo conto della complessità storica del processo di Gesù espressa nei racconti evangelici, e qualunque possa essere stato il peccato personale dei protagonisti del processo (Giuda, il Sinedrio, Pilato), che Dio solo conosce, non si può attribuirne la responsabilità all'insieme degli Ebrei di Gerusalemme, malgrado le grida di una folla manipolata [Mc 15,11] e i rimproveri collettivi contenuti negli appelli alla conversione dopo la Pentecoste [At 2,23.36; 3,13-14; 4,10; 597 5,30; 7,52; 10,39; 13,27-28; 1Ts 2,14-15]. Gesù stesso perdonando sulla croce [Lc 23,34] e Pietro sul suo esempio, hanno riconosciuto l'“ignoranza” (At 3,17) degli Ebrei di Gerusalemme ed anche dei loro capi. Ancor meno si può, a partire dal grido del popolo: “Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli” (Mt 27,25) che è una formula di ratificazione, [At 5,28; 18,6] estendere la responsabilità agli altri Ebrei nel tempo e nello spazio. Molto bene la Chiesa ha dichiarato nel Concilio Vaticano II: “Quanto è stato commesso durante la Passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo… Gli Ebrei non devono essere presentati né come rigettati da Dio, né come maledetti, come se ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura” [Conc. Ecum. Vat. II, Nostra aetate, 4].

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