At 5, 1-11 Frode di Anania e di Saffira

Capitolo 5°
(At 5, 1-11) Frode di Anania e di Saffira

[1] Un uomo di nome Anania con la moglie Saffira vendette un suo podere [2] e, tenuta per sé una parte dell'importo d'accordo con la moglie, consegnò l'altra parte deponendola ai piedi degli apostoli. [3] Ma Pietro gli disse: "Anania, perché mai satana si è così impossessato del tuo cuore che tu hai mentito allo Spirito Santo e ti sei trattenuto parte del prezzo del terreno? [4] Prima di venderlo, non era forse tua proprietà e, anche venduto, il ricavato non era sempre a tua disposizione? Perché hai pensato in cuor tuo a quest'azione? Tu non hai mentito agli uomini, ma a Dio". [5] All'udire queste parole, Anania cadde a terra e spirò. E un timore grande prese tutti quelli che ascoltavano. [6] Si alzarono allora i più giovani e, avvoltolo in un lenzuolo, lo portarono fuori e lo seppellirono. [7] Avvenne poi che, circa tre ore più tardi, entrò anche sua moglie, ignara dell'accaduto. [8] Pietro le chiese: "Dimmi: avete venduto il campo a tal prezzo?". Ed essa: "Sì, a tanto". [9] Allora Pietro le disse: "Perché vi siete accordati per tentare lo Spirito del Signore? Ecco qui alla porta i passi di coloro che hanno seppellito tuo marito e porteranno via anche te". [10] D'improvviso cadde ai piedi di Pietro e spirò. Quando i giovani entrarono, la trovarono morta e, portatala fuori, la seppellirono accanto a suo marito. [11] E un grande timore si diffuse in tutta la Chiesa e in quanti venivano a sapere queste cose. (CCC 2465) L'Antico Testamento lo attesta: Dio è sorgente di ogni verità. La sua Parola è verità [Pr 8,7; 2Sam 7,28]. La sua legge è verità [Sal 119,142]. La sua “fedeltà dura per ogni generazione” (Sal 119,90) [Lc 1,50]. Poiché Dio è il “Verace (Rm 3,4), i membri del suo popolo sono chiamati a vivere nella verità [Sal 119,30]. (CCC 2467) L'uomo è naturalmente proteso alla verità. Ha il dovere di rispettarla e di attestarla: “A motivo della loro dignità tutti gli uomini, in quanto sono persone,… sono spinti dalla loro stessa natura e tenuti per obbligo morale a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità conosciuta e ordinare tutta la loro vita secondo le esigenze della verità” [Dignitatis humanae, 2]. (CCC 2470) Il discepolo di Cristo accetta di “vivere nella verità”, cioè nella semplicità di una vita conforme all'esempio del Signore e rimanendo nella sua verità. “Se diciamo che siamo in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità” (1Gv 1,6). (CCC 2469) “Sarebbe impossibile la convivenza umana se gli uomini non avessero confidenza reciproca, cioè se non si dicessero la verità” [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, 109, 3, ad 1]. La virtù della verità dà giustamente all'altro quanto gli è dovuto. La veracità rispetta il giusto equilibrio tra ciò che deve essere manifestato e il segreto che deve essere conservato: implica l'onestà e la discrezione. Per giustizia, “un uomo deve onestamente manifestare a un altro la verità” [Id., II-II, 109, 3, ad 1]. (CCC 2401) Il settimo comandamento proibisce di prendere o di tenere ingiustamente i beni del prossimo e di arrecare danno al prossimo nei suoi beni in qualsiasi modo. Esso prescrive la giustizia e la carità nella gestione dei beni materiali e del frutto del lavoro umano. Esige, in vista del bene comune, il rispetto della destinazione universale dei beni e del diritto di proprietà privata. La vita cristiana si sforza di ordinare a Dio e alla carità fraterna i beni di questo mondo. (CCC 2446) San Giovanni Crisostomo lo ricorda con forza: “Non condividere con i poveri i propri beni è defraudarli e togliere loro la vita. Non sono nostri i beni che possediamo: sono dei poveri” [San Giovanni Crisostomo, In Lazarum, 1, 6: PG 48, 992D]. “Siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia perché non si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia” [Conc. Ecum. Vat. II, Apostolicam actuositatem, 8]. “Quando doniamo ai poveri le cose indispensabili, non facciamo loro delle elargizioni personali, ma rendiamo loro ciò che è loro. Più che compiere un atto di carità, adempiamo un dovere di giustizia” [San Gregorio Magno, Regula pastoralis, 3, 21].

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