At 5, 21-33 Apostoli davanti al sinedrio

(At 5, 21-33) Apostoli davanti al sinedrio

Quando arrivò il sommo sacerdote con quelli della sua parte, convocarono il sinedrio e tutti gli anziani dei figli d'Israele; mandarono quindi a prelevare gli apostoli nella prigione. [22] Ma gli incaricati, giunti sul posto, non li trovarono nella prigione e tornarono a riferire: [23] "Abbiamo trovato il carcere scrupolosamente sbarrato e le guardie ai loro posti davanti alla porta, ma, dopo aver aperto, non abbiamo trovato dentro nessuno". [24] Udite queste parole, il capitano del tempio e i sommi sacerdoti si domandavano perplessi che cosa mai significasse tutto questo, [25] quando arrivò un tale ad annunziare: "Ecco, gli uomini che avete messo in prigione si trovano nel tempio a insegnare al popolo". [26] Allora il capitano uscì con le sue guardie e li condusse via, ma senza violenza, per timore di esser presi a sassate dal popolo. [27] Li condussero e li presentarono nel sinedrio; il sommo sacerdote cominciò a interrogarli dicendo: [28] "Vi avevamo espressamente ordinato di non insegnare più nel nome di costui, ed ecco voi avete riempito Gerusalemme della vostra dottrina e volete far ricadere su di noi il sangue di quell'uomo". [29] Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. [30] Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avevate ucciso appendendolo alla croce. [31] Dio lo ha innalzato con la sua destra facendolo capo e salvatore, per dare a Israele la grazia della conversione e il perdono dei peccati. [32] E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a lui". [33] All'udire queste cose essi si irritarono e volevano metterli a morte. (CCC 450) Fin dall'inizio della storia cristiana, l'affermazione della signoria di Gesù sul mondo e sulla storia [Ap 11,15] comporta anche il riconoscimento che l'uomo non deve sottomettere la propria libertà personale, in modo assoluto, ad alcun potere terreno, ma soltanto a Dio Padre e al Signore Gesù Cristo: Cesare non è “il Signore” [Mc 12,17;At 5,29]. “La Chiesa crede… di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana” [Gaudium et spes, 10; 45]. (CCC 449) Attribuendo a Gesù il titolo divino di Signore, le prime confessioni di fede della Chiesa affermano, fin dall'inizio, [At 2,34-36] che la potenza, l'onore e la gloria dovuti a Dio Padre convengono anche a Gesù, [Rm 9,5; Tt 2,13; Ap 5,13] perché egli è di “natura divina” (Fil 2,6) e che il Padre ha manifestato questa signoria di Gesù risuscitandolo dai morti ed esaltandolo nella sua gloria [Rm 10,9; 1Cor 12,3; Fil 2,9-11]. (CCC 2242) Il cittadino è obbligato in coscienza a non seguire le prescrizioni delle autorità civili quando tali precetti sono contrari alle esigenze dell'ordine morale, ai diritti fondamentali delle persone o agli insegnamenti del Vangelo. Il rifiuto d'obbedienza alle autorità civili, quando le loro richieste contrastano con quelle della retta coscienza, trova la sua giustificazione nella distinzione tra il servizio di Dio e il servizio della comunità politica. “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21). “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5,29). “Dove i cittadini sono oppressi da una autorità pubblica che va al di là delle sue competenze, essi non ricusino quelle cose che sono oggettivamente richieste dal bene comune; sia però loro lecito difendere i diritti propri e dei propri concittadini contro gli abusi di questa autorità, nel rispetto dei limiti dettati dalla legge naturale ed evangelica” [Gaudium et spes, 74].

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