1 Cor 5, 3-5 Ho giudicato come se fossi presente

(1 Cor 5, 3-5) Ho giudicato come se fossi presente
[3] Orbene, io, assente col corpo ma presente con lo spirito, ho già giudicato come se fossi presente colui che ha compiuto tale azione: [4] nel nome del Signore nostro Gesù, essendo radunati insieme voi e il mio spirito, con il potere del Signore nostro Gesù, [5] questo individuo sia dato in balìa di satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore. (CCC 1459) Molti peccati recano offesa al prossimo. Bisogna fare il possibile per riparare (ad esempio restituire cose rubate, ristabilire la reputazione di chi è stato calunniato, risanare le ferite). La semplice giustizia lo esige. Ma, in più, il peccato ferisce e indebolisce il peccatore stesso, come anche le sue relazioni con Dio e con il prossimo. L'assoluzione toglie il peccato, ma non porta rimedio a tutti i disordini che il peccato ha causato [Concilio di Trento: DS 1712]. Risollevato dal peccato, il peccatore deve ancora recuperare la piena salute spirituale. Deve dunque fare qualcosa di più per riparare le proprie colpe: deve “soddisfare” in maniera adeguata o “espiare” i suoi peccati. Questa soddisfazione si chiama anche “penitenza”. (CCC 1460) La penitenza che il confessore impone deve tener conto della situazione personale del penitente e cercare il suo bene spirituale. Essa deve corrispondere, per quanto possibile, alla gravità e alla natura dei peccati commessi. Può consistere nella preghiera, in un'offerta, nelle opere di misericordia, nel servizio del prossimo, in privazioni volontarie, in sacrifici, e soprattutto nella paziente accettazione della croce che dobbiamo portare. Tali penitenze ci aiutano a configurarci a Cristo che, solo, ha espiato per i nostri peccati [Rm 3,25; 1Gv 2,1-2] una volta per tutte. Esse ci permettono di diventare coeredi di Cristo risorto, dal momento che “partecipiamo alle sue sofferenze(Rm 8,17) [Concilio di Trento: DS 1690]: “Ma questa soddisfazione, che compiamo per i nostri peccati, non è talmente nostra da non esistere per mezzo di Gesù Cristo: noi, infatti, che non possiamo nulla da noi stessi, col suo aiuto possiamo tutto in lui che ci dà la forza [Fil 4,13]. Quindi l'uomo non ha di che gloriarsi; ma ogni nostro vanto è riposto in Cristo, […] in cui offriamo soddisfazione, "facendo opere degne della conversione” (Lc 3,8), che da lui traggono il loro valore, da lui sono offerte al Padre e grazie a lui sono accettate dal Padre [Concilio di Trento: DS 1691]. (CCC 1463) Alcuni peccati particolarmente gravi sono colpiti dalla scomunica, la pena ecclesiastica più severa, che impedisce di ricevere i sacramenti e di compiere determinati atti ecclesiastici (CIC canone 1331), e la cui assoluzione, di conseguenza, non può essere accordata, secondo il diritto della Chiesa, che dal Papa, dal vescovo del luogo o da presbiteri da loro autorizzati (CIC canoni 1354-1357). In caso di pericolo di morte, ogni sacerdote, anche se privo della facoltà di ascoltare le confessioni, può assolvere da qualsiasi peccato e da qualsiasi scomunica (CIC canone 976).

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