Rm 6,20-23 Frutti del peccato e dono di Dio

(Rm 6,20-23) Frutti del peccato e dono di Dio
[20] Quando infatti eravate sotto la schiavitù del peccato, eravate liberi nei riguardi della giustizia. [21] Ma quale frutto raccoglievate allora da cose di cui ora vi vergognate? Infatti il loro destino è la morte. [22] Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come destino avete la vita eterna. [23] Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore. (CCC 1006) «In faccia alla morte l’enigma della condizione umana diventa sommo». Per un verso la morte corporale è naturale, ma per la fede essa in realtà è «salario del peccato» (Rm 6,23; Gn 2,17). E per coloro che muoiono nella grazia di Cristo, è una partecipazione alla morte del Signore, per poter partecipare anche alla sua Risurrezione [Rm 6,3-9;Fil 3,10-11]. (CCC 1010) Grazie a Cristo, la morte cristiana ha un significato positivo. “Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno” (Fil 1,21). “Certa è questa parola: se moriamo con lui, vivremo anche con lui” (2Tm 2,11). Qui sta la novità essenziale della morte cristiana: mediante il Battesimo, il cristiano è già sacramentalmente “morto con Cristo”, per vivere di una vita nuova; e se noi moriamo nella grazia di Cristo, la morte fisica consuma questo “morire con Cristo” e compie così la nostra incorporazione a lui nel suo atto redentore: “Per me è meglio morire per (“eis”) Gesù Cristo, che essere re fino ai confini della terra. Io cerco colui che morì per noi; io voglio colui che per noi risuscitò. Il parto è imminente. […] Lasciate che io raggiunga la pura luce; giunto là, sarò veramente un uomo” [Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad Romanos, 6, 1-2].

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