Fil 2, 7-8 Umiliò se stesso fino alla morte di croce

(Fil 2, 7-8) Umiliò se stesso fino alla morte di croce
[7] Apparso in forma umana, [8] umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. (CCC 612) Il calice della Nuova Alleanza, che Gesù ha anticipato alla Cena offrendo se stesso [Lc 22,20], in seguito egli lo accoglie dalle mani del Padre nell'agonia al Getsemani [Mt 26,42] facendosi “obbediente fino alla morte” (Fil 2,8) [Eb 5,7-8]. Gesù prega: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice!” (Mt 26,39). Egli esprime così l'orrore che la morte rappresenta per la sua natura umana. Questa, infatti, come la nostra, è destinata alla vita eterna; in più, a differenza della nostra, è perfettamente esente dal peccato [Eb 4,15 ] che causa la morte [Rm 5,12 ]; ma soprattutto è assunta dalla Persona divina dell' “Autore della vita (At 3,15), del “Vivente” (Ap 1,17: Gv 1,4; 5,26). Accettando nella sua volontà umana che sia fatta la volontà del Padre [Mt 26,42], Gesù accetta la sua morte in quanto redentrice, per “portare i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce (1Pt 2,24). (CCC 623) Mediante la sua obbedienza di amore al Padre “fino alla morte di croce (Fil 2,8), Gesù compie la missione espiatrice [Is 53,10] del Servo sofferente che giustifica molti addossandosi la loro iniquità [Is 53,11; Rm 5,19]. (CCC 908) Mediante la sua obbedienza fino alla morte [Fil 2,8-9], Cristo ha comunicato ai suoi discepoli il dono della libertà regale, “perché con l'abnegazione di sé e la vita santa vincano in se stessi il regno del peccato” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 36]. “Colui che sottomette il proprio corpo e governa la sua anima senza lasciarsi sommergere dalle passioni è padrone di sé: può essere chiamato re perché è capace di governare la propria persona; è libero e indipendente e non si lascia imprigionare da una colpevole schiavitù” [Sant'Ambrogio, Expositio psalmi CXVIII, 14, 30: PL 15, 1476].

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