1 Tm 1, 18-20 Combatti la buona battaglia con fede

(1 Tm 1, 18-20) Combatti la buona battaglia con fede
[18] Questo è l'avvertimento che ti do, figlio mio Timòteo, in accordo con le profezie che sono state fatte a tuo riguardo, perché, fondato su di esse, tu combatta la buona battaglia [19] con fede e buona coscienza, poiché alcuni che l'hanno ripudiata hanno fatto naufragio nella fede; [20] tra essi Imenèo e Alessandro, che ho consegnato a satana perché imparino a non più bestemmiare.
(CCC 162) La fede è un dono che Dio fa all'uomo gratuitamente. Noi possiamo perdere questo dono inestimabile. San Paolo, a questo proposito, mette in guardia Timoteo: Combatti “la buona battaglia con fede e buona coscienza, poiché alcuni che l'hanno ripudiata hanno fatto naufragio nella fede” (1Tm 1,18-19). Per vivere, crescere e perseverare nella fede sino alla fine, dobbiamo nutrirla con la Parola di Dio; dobbiamo chiedere al Signore di accrescerla [Mc 9,24; Lc 17,5; 22,32]; essa deve operare “per mezzo della carità” (Gal 5,6) [Gc 2,14-26], essere sostenuta dalla speranza [Rm 15,13] ed essere radicata nella fede della Chiesa. (CCC 164) Ora, però, “camminiamo nella fede e non ancora in visione” (2Cor 5,7), e conosciamo Dio “come in uno specchio, in maniera confusa..., in modo imperfetto” (1Cor 13,12). La fede, luminosa a motivo di Colui nel quale crede, sovente è vissuta nell'oscurità. La fede può essere messa alla prova. Il mondo nel quale viviamo pare spesso molto lontano da ciò di cui la fede ci dà la certezza; le esperienze del male e della sofferenza, delle ingiustizie e della morte sembrano contraddire la Buona Novella, possono far vacillare la fede e diventare per essa una tentazione. (CCC 2089) L'incredulità è la noncuranza della verità rivelata o il rifiuto volontario di dare ad essa il proprio assenso. “Viene detta eresia l'ostinata negazione, dopo aver ricevuto il Battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa; apostasia il ripudio totale della fede cristiana; lo scisma, il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetta” [CIC canone 751]. (CCC 1463) Alcuni peccati particolarmente gravi sono colpiti dalla scomunica, la pena ecclesiastica più severa, che impedisce di ricevere i sacramenti e di compiere determinati atti ecclesiastici (CIC canone 133; CCEO canoni 1431. 1434), e la cui assoluzione, di conseguenza, non può essere accordata, secondo il diritto della Chiesa, che dal Papa, dal vescovo del luogo o da presbiteri da loro autorizzati (CIC canoni 1354-1357). In caso di pericolo di morte, ogni sacerdote, anche se privo della facoltà di ascoltare le confessioni, può assolvere da qualsiasi peccato e da qualsiasi scomunica (CIC canone 976; per l’assoluzione dei peccati, CCEO canone 725).

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