Lc 11, 11-13

Lc 11, 11-13

(Caritas in Veritate 42 e) Per molto tempo si è pensato che i popoli poveri dovessero rimanere ancorati a un prefissato stadio di sviluppo e dovessero accontentarsi della filantropia dei popoli sviluppati. Contro questa mentalità ha preso posizione Paolo VI nella Populorum progressio. Oggi le forze materiali utilizzabili per far uscire quei popoli dalla miseria sono potenzialmente maggiori di un tempo, ma di esse hanno finito per avvalersi prevalentemente gli stessi popoli dei Paesi sviluppati, che hanno potuto sfruttare meglio il processo di liberalizzazione dei movimenti di capitali e del lavoro. La diffusione delle sfere di benessere a livello mondiale non va, dunque, frenata con progetti egoistici, protezionistici o dettati da interessi particolari.

La partecipazione non può essere limitata o ristretta

(CDS 189 b) Essa non può essere delimitata o ristretta a qualche contenuto particolare della vita sociale, data la sua importanza per la crescita, innanzi tutto umana, in ambiti quali il mondo del lavoro e le attività economiche nelle loro dinamiche interne [405], l'informazione e la cultura e, in massimo grado, la vita sociale e politica fino ai livelli più alti, quali sono quelli da cui dipende la collaborazione di tutti i popoli per l'edificazione di una comunità internazionale solidale [406]. In tale prospettiva, diventa imprescindibile l'esigenza di favorire la partecipazione soprattutto dei più svantaggiati e l'alternanza dei dirigenti politici, al fine di evitare che si instaurino privilegi occulti; è necessaria inoltre una forte tensione morale, affinché la gestione della vita pubblica sia il frutto della corresponsabilità di ognuno nei confronti del bene comune.

Note: [405] Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 423-425; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 14: AAS 73 (1981) 612-616; Id., Lett. enc. Centesimus annus, 35: AAS 83 (1991) 836-838. [406] Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 44-45: AAS 80 (1988) 575-578.


(Lc 11, 11-13) Genitori primi ma non unici educatori dei figli

[11] Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? [12] O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? [13] Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!".

(CDS 240) I genitori sono i primi, ma non gli unici, educatori dei lori figli. Spetta a loro, dunque, esercitare con senso di responsabilità l'opera educativa in stretta e vigile collaborazione con gli organismi civili ed ecclesiali: «la stessa dimensione comunitaria, civile ed ecclesiale, dell'uomo esige e conduce ad un'opera più ampia ed articolata, che sia il frutto della collaborazione ordinata delle diverse forze educative. Queste forze sono tutte necessarie, anche se ciascuna può e deve intervenire con una sua competenza e con un suo contributo propri» [546]. I genitori hanno il diritto di scegliere gli strumenti formativi rispondenti alle proprie convinzioni e di cercare i mezzi che possano aiutarli nel loro compito di educatori, anche nell'ambito spirituale e religioso. Le autorità pubbliche hanno il dovere di garantire tale diritto e di assicurare le condizioni concrete che ne consentono l'esercizio [547]. In tale contesto si pone anzitutto il tema della collaborazione tra famiglia e istituzione scolastica.

Note: [546] Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 40: AAS 74 (1982) 131. [547] Cfr. Concilio Vaticano II, Dich. Gravissimum educationis, 6: AAS 58 (1966) 733-734; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2229.

Sigle e Abbreviazioni: CDS: Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, “Compendio della Dottrina sociale della Chiesa” LEV, 2004. DSC: Dottrina Sociale della Chiesa. CV: Benedetto XVI, Lettera Enciclica “Caritas in Veritate”, 29. 6. 2009.

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