Gaudium et spes n. 16 e commento CCC
16. Dignità della coscienza morale.
Coscienza retta: allontana dal cieco arbitrio
[n. 16c] Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta,
tanto più le persone e i gruppi si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano
di conformarsi alle norme oggettive della moralità. Tuttavia succede non di rado
che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo
essa perda la sua dignità. Ma ciò non si può dire quando l'uomo poco si cura di
cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in
seguito all'abitudine del peccato.
(CCC 1780) La dignità della persona umana implica ed esige la rettitudine della coscienza morale. La
coscienza morale comprende la percezione dei principi della moralità
(sinderesi), la loro applicazione nelle circostanze di fatto mediante un
discernimento pratico delle ragioni e dei beni e, infine, il giudizio
riguardante gli atti concreti che si devono compiere o che sono già stati
compiuti. La verità sul bene morale, dichiarata nella legge della ragione, è
praticamente e concretamente riconosciuta attraverso il giudizio prudente della coscienza. Si chiama prudente l'uomo le cui
scelte sono conformi a tale giudizio. (CCC 1781) La coscienza permette di
assumere la responsabilità degli atti
compiuti. Se l'uomo commette il male, il retto giudizio della coscienza può
rimanere in lui il testimone della verità universale del bene e, al tempo
stesso, della malizia della sua scelta particolare. La sentenza del giudizio di
coscienza resta un pegno di speranza e di misericordia. Attestando la colpa commessa,
richiama al perdono da chiedere, al bene da praticare ancora e alla virtù da
coltivare incessantemente con la grazia di Dio: “Davanti a lui rassicureremo il
nostro cuore qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro
cuore e conosce ogni cosa” (1Gv 3,19-20). (CCC 1782) L'uomo ha il diritto di
agire in coscienza e libertà, per prendere personalmente le decisioni morali.
L'uomo non deve essere costretto “ad agire contro la sua coscienza. Ma non si
deve neppure impedirgli di operare in conformità ad essa, soprattutto in campo
religioso” [Conc. Ecum. Vat. II, Dignitatis
humanae, 3].