Commento CCC a YouCat Domanda n. 240
YOUCAT Domanda n. 240 - Come si interpretava la «malattia» nell'Antico Testamento?
(Risposta
Youcat) Spesso nell'Antico Testamento si percepiva la malattia
come una prova gravosa cui ci si poteva opporre ma in cui si poteva anche
riconoscere la mano di Dio. Già nei Profeti emerge l'idea che la sofferenza non
sia solo una maledizione e non sempre la conseguenza di un peccato personale,
ma che nella sofferenza accettata con pazienza si possa essere di aiuto anche
ad altri.
Riflessione e approfondimenti
(Commento CCC) (CCC
1502) L'uomo dell'Antico Testamento vive la malattia di fronte a Dio. E'
davanti a Dio che egli versa le sue lacrime sulla propria malattia [Sal 38 ]; è
da lui, il Signore della vita e della morte, che egli implora la guarigione
[Sal 6,3; Is 38 ]. La malattia diventa cammino di conversione [Sal 38,5; 39,9;
Sal 38,12] e il perdono di Dio dà inizio alla guarigione [Sal 32,5; 107,20; Mc
2,5-12 ]. Israele sperimenta che la malattia è legata, in un modo misterioso,
al peccato e al male, e che la fedeltà a Dio, secondo la sua Legge, ridona la
vita: “perché io sono il Signore, colui che ti guarisce!” (Es 15,26). Il
profeta intuisce che la sofferenza può anche avere un valore redentivo per i
peccati altrui [Is 53,11]. Infine Isaia annuncia che Dio farà sorgere per Sion
un tempo in cui perdonerà ogni colpa e guarirà ogni malattia [Is 33,24 ].
Per meditare
(Commento CCC) (CCC
364) Il corpo
dell'uomo partecipa alla dignità di “immagine di Dio”: è corpo umano proprio
perché è animato dall'anima spirituale, ed è la persona umana tutta intera ad
essere destinata a diventare, nel corpo di Cristo, il tempio dello Spirito
[1Cor 6,19-20; 15,44-45]. “Unità di
anima e di corpo, l'uomo sintetizza in sé, per la sua stessa condizione
corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi, attraverso di
lui, toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore.
Allora, non è lecito all'uomo disprezzare la vita corporale; egli anzi è tenuto
a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto perché creato da
Dio e destinato alla risurrezione nell'ultimo giorno” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 14].